Colmiamo una lacuna che fa perdere tanti soldi ai percettori di pensione di reversibilità. Capiamo quando l’importo viene decurtato.
I superstiti di un pensionato INPS sono percettori della pensione di reversibilità. L’ente della previdenza sociale eroga un importo diverso in base alle caratteristiche del beneficiario. Tale importo, però, può ridursi per un banale motivo.
Tra le prestazioni economiche erogate dall’INPS alle famiglie c’è la pensione di reversibilità. Spetta ai coniugi e ai figli (in assenza di questi ai genitori, ai fratelli e sorelle o nipoti a carico) dopo la morte del pensionato. L’importo varia in base ad una serie di fattori come gli anni di contributi maturati durante la carriera lavorativa, al grado di parentela e a quanti sono i superstiti da considerare per l’erogazione della reversibilità. Al coniuge solo, ad esempio, spetterà il 60% dell’importo pensionistico percepito dal partner prima del decesso.
Al coniuge con un figlio l’80% mentre al coniuge con due o più figli l’aliquota maggiore, il 100% del trattamento. Gli importi della pensione di reversibilità sono cumulabili con i redditi del beneficiario entro determinati limiti. Oltre determinate soglie si attueranno decurtazioni. La somma piena si percepirà con redditi entro i 23.345,79 euro, la decurtazione sarà del 25% fino a 31.127,72 euro, del 40% entro i 38.909,65 euro e del 50% oltre i 38.909,65 euro. C’è un altro caso in cui si potrebbero perdere soldi legato ai redditi.
Pensione di reversibilità: quando si perdono soldi
La pensione di reversibilità viene calcolata dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale in base alla documentazione presentata dal familiare superstite dopo la morte del pensionato. Possono inoltrare domanda anche i titolari di Partita IVA in regime forfettario ma c’è un dettaglio da conoscere per non perdere i soldi del beneficio.
Secondo la normativa il contribuente con Partita IVA in regime forfettario non potrà usare la flat tax qualora abbia maturato redditi da lavoro dipendente o da pensione oltre i 30 mila euro nell’anno precedente. Ogni anno si procede con il calcolo della soglia da non superare. Questo significa che la pensione di reversibilità non incide sull’attività lavorativa da autonomo a patto che il reddito pensionistico sia pari o inferiore a 30 mila euro.
Superando questo limite si configurerà la causa di incompatibilità (Legge 190/2014 comma 57). Attenzione, nel conteggio dei 30 mila euro rientrano esclusivamente i redditi da lavoro dipendente e pensione, non quelli derivanti dall’attività autonoma con Partita IVA in regime forfettario (risposta AdE all’interpello numero 311 del 3 maggio 2023). Più si guadagnerà come lavoratore autonomo, però, maggiore sarà la decurtazione della pensione di reversibilità.
Vige comunque, infatti, la decurtazione in base al reddito precedentemente segnalata con tagli dal 20 al 50%. Il rischio di perdere la pensione di reversibilità solo perché si ha partita IVA, dunque, non esiste se i redditi da lavoro/pensione rimangono sotto i 30 mila euro però il rischio è di avere un importo ridotto fino al 50% se si ha un reddito superiore a 23.345,79 euro.