Occhio ai dettagli: un errore banale potrebbe costare migliaia di euro di pensione ai titolari della cosiddetta “reversibilità”.
La pensione di reversibilità rappresenta un fondamentale sostegno economico per i familiari superstiti di un pensionato o di un lavoratore defunto. Questa prestazione, erogata dall’INPS, è destinata principalmente al coniuge superstite, anche in caso di separazione legale, e ai figli. Tuttavia, l’importo effettivamente percepito dipende da molti fattori, tra cui i contributi versati dal defunto e alcune dinamiche che spesso vengono trascurate.
Un errore comune riguarda la documentazione presentata al momento della richiesta. Se non completa o corretta, l’importo può risultare inferiore a quanto realmente spettante. Tuttavia, esiste un’altra insidia meno nota che rischia di ridurre drasticamente l’assegno: i redditi personali del beneficiario. Se non si presta la dovuta attenzione, ci si può ritrovare penalizzati da tagli importanti, dal 20% fino al 50%. E una volta che le decurtazioni sono applicate, non è più possibile recuperare quanto perso.
Quando il reddito personale erode la pensione di reversibilità
Un aspetto cruciale da considerare riguarda i limiti reddituali del superstite. La legge stabilisce che, in caso di redditi personali elevati, l’importo della pensione di reversibilità subisce delle decurtazioni progressive. Più nello specifico:
- Fino a 23.345,79 euro di reddito personale annuo, l’assegno resta invariato;
- Tra 23.345,79 e 31.127,72 euro, si applica un taglio del 25%;
- Tra 31.127,72 e 38.909,65 euro, la riduzione sale al 40%;
- Per redditi superiori a 38.909,65 euro, la decurtazione arriva al 50%.
Queste soglie non tengono conto solo dei redditi derivanti dal lavoro, ma includono anche altre entrate, come rendite previdenziali o eventuali redditi da attività in partita IVA. Per esempio, chi esercita un’attività lavorativa in regime forfettario deve verificare con attenzione che i propri introiti non facciano superare i limiti sopra indicati, pena una significativa riduzione dell’assegno. E non è tutto…
Oltre alla decurtazione della pensione, esiste un’ulteriore rischio per chi è titolare di partita IVA in regime forfettario. La normativa prevede che, per mantenere il regime agevolato, i redditi di lavoro dipendente o di pensione non superino i 30.000 euro l’anno. Superata questa soglia, si perde il diritto alla flat tax, con un impatto economico considerevole. È quindi fondamentale verificare attentamente il proprio reddito complessivo e, in caso di dubbi, rivolgersi a un consulente esperto. Anche un piccolo errore di sottovalutazione può costare caro, e tradursi in una pensione più che dimezzata.